di Cleto Eleuterio Battista

Nell’antica Grecia l’uomo veniva rappresentato nudo per affermarne l’esemplarità ideale rispetto al mondo accidentale delle contingenze, affinché emergesse la dimensione astratta e superiore dell’assoluto, primeggiante nei confronti di ciò che poteva essere relativo e limitato. L’esaltazione dell’atletes veniva a corrispondere alla necessità di esaltare l’agone ginnico e la forza dell’uomo, ma unita al desiderio di trasporsi nel livello superiore della divinità, grazie alla capacità di varcare i limiti imposti dalla sorte alla condizione umana. Se nei momenti di crisi le figure si fecero più rilassate e sensuali, ciò non avvenne a discapito totale di questa dimensione estesa a sfiorare l’eroico e il sovrumano. Nudità come sinonimo di perfezione, di senza macchia, di assenza del tragico, nella delimitatezza della rappresentazione artistica. L’uomo greco si spoglia, l’indigeno si marca, si segna per distinguersi, per individualizzarsi all’interno di un ambiente che lo cancella. Si tinge, tatua o incide il proprio corpo  come si solca un campo, come si delimita un podere: alla mappa terrestre si oppone una mappa somatica; solchi, striature, cerchi e simboli rendono manifesto il desiderio, nel giovane d’oggi, d’apparire, l’angoscia di non dissolversi nella massa, la ricerca dell’identità di gruppo, la volontà di un coabitare nel rito e nel costume.
di Cleto Eleuterio Battista
Olga ripropone il nudo nella sua integralità, nudo maschile sottratto a qualsiasi mappatura così come a qualsiasi idealizzazione, anzi quasi rappresentato nella sua vulnerabilità - e vulnerabile, indifeso si presenta il maschio odierno, la cui vanità non nasconde il bisogno di chiusura e introspezione. Pose spavalde, sguardi acuti e sottili celano soltanto incertezze. Grandi occhi femminili desiderano e spiano, bocche gigantesche si chiudono davanti l’oggetto del desiderio. L’uomo viene raffigurato davanti la donna come un lillipuziano, come un animaletto in gabbia, osservato e concupito nella sua nudità, cioè indifeso. C’è qualcosa di angoscioso anche nei colori, rossi verdi blu, senza cangiamenti, sfumature o vibrazioni particolari. Oppure ombre profonde, che richiamano interni, spazi chiusi e limitati, piani fissi e bloccati. Anche i giovani si chiudono; come dimostrano le posizioni delle braccia. I corpi si raccolgono spinti da un istinto alla difesa. Alcuni appaiono già legati, accanto ad altri oscillano cordami, forieri di futuri legami e limitazioni: l’uomo prigioniero della donna. La donna, in effetti, risulta poco presente, ma aleggia nell’aria la distanza da essa, mentre si fa presente ed evidente l’impotenza del giovane.
Giovani sono tutti i corpi ritratti. Il giovane rappresenta la bellezza, il centro della maturità del corpo, lontano dall’acerba sensualità dell’adolescente come dalla durezza dell’uomo maturo, ormai inscritto nel perimetro dei doveri familiari e sociali, e dai cascami dell’uomo anziano. E nonostante il ritaglio sicuro delle forme, i corpi sembrano decomporsi, a volte, a causa del colore che si sfalda, con evidenti richiami ad una sensualità antica, ellenistica, alessandrina, richiami ad un tempo in cui l’eros era soprattutto carnalità e materia, mentre i sentimenti retrocedevano. Ma questa sensualità  in Olga si permea di una misteriosa malinconia, coscienza forse di una sconfitta o di una condizione infelice. I giovani non agiscono, sono ritratti in posa quasi sempre statica, provvisti, come novelli eroti, di ali, secondo un’iconografia antica, rinnovata al presente dal pittore greco Tsarouchis, anch’egli maestro nell’afferrare la bellezza del corpo maschile. Ma sono eroti pensierosi, raccolti nelle proprie introspezioni, figure accasciate, in cui l’energia implode e si spegne. L’immobilità, talvolta, si rivela totale. E lo spazio si fa nitido, come in una tela caravaggesca,  attraverso riferimenti puntuali anche ad una cultura figurativa secentesca, quando opposti sensazioni sembravano sommarsi e scontrarsi nelle rappresentazioni: sensualità e memento mori, realismo e idealismo. Un elemento barocco è proprio quella tenda che, di tanto in tanto, accompagna il corpo rappresentato, elemento di separazione  e di nascondimento. La scena si spopola, domina solo l’uomo, ma di esso Olga sembra cogliere più che il corpo, l’atteggiamento, lo sguardo, il pensiero. Gli elementi naturali vengono esclusi, tagliati fuori, a simboleggiare l’ormai affermata artificialità della vita umana. I protagonisti sono il corpo con la sua carica di sensualità e la psiche, con le sue angosce, le sue tensioni, le paure e i timori – non a caso le figure si raddoppiano. Nessuno dei rappresentati sorride o gioisce, tocca e sente solo il proprio corpo, con sensualità narcisistica o per protezione, oppure getta lo sguardo al di fuori , alla ricerca di una felicità o di una salvezza, o fieramente lo rivolge contro l’osservatore, ma senza ammiccamenti, con una freddezza, che rammenta gli algidi sguardi manettiani, chiudendosi in un mutismo impenetrabile, difendendosi dall’indagine di occhi altrui. Aggressività, chiusura, sensualità si accompagnano e si misurano al taglio della forma, all’esplicatività del gesto, alla direzione dello sguardo, fino a che esso non sprofonda, in alcuni esempi, nell’abbattimento e nell’introspezione, nel corpo raccolto e racchiuso nella difesa.
Lontana dalle ultime ricerche, che ponevano la problematicità di un nuovo corpo coesteso artificialmente, grazie alle nuove tecnologie, compromesso sempre più dalla chirurgia estetica, Olga, al contrario, cerca di riproporre la naturalità del corpo umano, opposto all’ambiente freddo, inanimato e artificiale, che lo circonda, rivelando la fiducia in un mondo ed in una società, in cui l’uomo resta centrale, pur con le tensioni fra i sessi e all’interno stesso della psiche umana.
Il corpo si presenta in tutta la sua solida consistenza soprattutto negli olii, scandisce in modo netto gli spazi, si staglia e ritaglia contro i fondi freddi e  immobili. Il movimento è quasi del tutto assente: qua e là, soltanto un soffio muove le tende e le funi ( aria di libertà proveniente dal mondo esterno o presenza vitale in uno spazio morto?). Il forte contrasto dei caldi e dei freddi  - solitamente rosso e verde -  accentua il dramma muto, che si svolge nella scena. E la catarsi di tale dramma sembra inesistente, perché il senso di solitudine e di sconfitta permane e si solidifica, nient’affatto attenuato dalla presenza di richiami sensuali.